Fare il fornaio è un lavoro durissimo, ogni giorno all’alba si inizia a lavorare per finire la notte e non sempre il lavoro va bene. Un giorno, nel piccolo forno di una piccola città il fornaio stava impastando del pane per il giorno successivo. Formò le pagnotte e si cimentò a fare dell’altra pasta. Prese la farina, l’acqua e quando andò a cercare del lievito non ne trovò. Frugò in ogni buco possibile per trovare una dose di lievito sufficiente per dell’altro pane. Alla fine trovò una scatola senza etichetta, annusò il contenuto e dall’odore dedusse che poteva essere lievito. Impastò bene tutti gli ingredienti e formò altre pagnotte, che poi mise a lievitare sotto ad un panno insieme agli altri. Esausto dopo la lunga giornata di lavoro andò a dormire, lasciando il pane a lievitare.
Coricatosi si addormentò subito e sognò che tutta la gente del paese e delle cittadine limitrofe veniva a comprare il pane da lui e tornava sempre più numerosa perché il suo pane era il migliore.
Il mattino dopo, quando il sole non era ancora sorto, il fornaio si alzò felice come non lo era da molto tempo, scese nella sua piccola bottega e per prima cosa accese il grande camino per cuocere il pane, poi, aspettando che si scaldasse a sufficienza cominciò a mettere in ordine le pagnotte per infornarle. Raggiunta la temperatura ideale infornò le pagnotte e ben presto in tutta la bottega si poté sentire la fragranza del pane che stava cuocendo. Pochi minuti dopo aver tirato fuori dal forno la prima infornata di pane, e averci messo la seconda, cominciarono ad arrivare i primi clienti. La prima in assoluto era sempre la locandiera, che viveva dall’altro capo del paese, e veniva tutte le mattine per comprare il pane, che si vociferava fosse il migliore.
Come ogni mattina la locandiera comperò almeno la metà della prima infornata di pane e, seguita dagli sguatteri, andò in direzione del mercato. Per tutta la giornata si susseguirono gente del posto e viandanti di passaggio, andavano e venivano voci e notizie da ogni parte del mondo. All’ora di pranzo il bravo fornaio, affamato, chiuse a chiave la porta della bottega, prese una delle sue pagnotte e si ritirò nel retrobottega, vicino al grande forno, dove si stava più caldi. Mangiato il suo povero pasto, accompagnato da qualche sorso di vino, infornò dell’altro pane e riaprì la bottega. Poco dopo le tre del pomeriggio passò la comare del paese, accompagnata come sempre dalle figlie e dalle nipoti.
Una volta entrata disse: «Allora Alfredo, dammi il tuo pane migliore. Stasera c’è il banchetto per festeggiare il fidanzamento di una delle mie carissime nipoti.»
«Quella racchia, sdentata e con gli occhi storti? Veramente c’è qualcuno tanto disperato da sposarsela?» Le parole uscirono come un fiume senza che il fornaio se ne rendesse conto. La comare rimase impietrita le dove si trovava, gli occhi spalancati dallo stupore e la bocca semi aperta.
«A-alfr-redo, come osa dire una cosa del genere sulla mia adorata nipotina?!»
«Ma cosa si crede Comare? Tutti pensano esattamente la stesa cosa, ma nessuno ha mai avuto la briga di parlare!»
Il fornaio ormai era diventato un fiume in piena, per circa cinque minuti il gruppo di donne rimase impalato vicino alla porta, finché una di loro non ruppe il silenzio e con poche parole fece incamminare la comare verso la porta.
Appena il gruppo su uscito il fornaio cominciò a realizzare ciò che era appena accaduto.
Ci rimuginò sopra per tutto il resto della giornata.
I clienti andavano e venivano come al solito, come se nessuno di loro sapesse di ciò che era successo solo poche ore prima.
Verso l’ora di chiusura cominciò a preparare il pane per il giorno dopo sempre con il lievito della sera prima. Mentre impastava ripensava alla comare e come aveva risposto.
Riflettendo si rese conto che aveva detto semplicemente quello che pensava, senza preoccuparsi di offendere.
Il giorno dopo appena giunse la locandiera, stranamente scompigliata e con occhiaie profonde, il fornaio ebbe l’impulso di spiattellarle quello che pensava realmente su di lei. Con un’enorme sforzo di volontà riuscì a non dire nulla, cosa che non riuscì a fare la locandiera, che criticò chiunque le venisse in mente mettendosi allo stesso livello della comare. Dopo che la donna se ne fu andata la giornata continuò tranquilla, fino all’ora di pranzo. Eseguì il suo solito rituale, sedendosi vicino al forno e mangiando il suo pane con un sorso di vino. Riaprì la bottega come da prassi e attese i clienti, che non tardarono ad arrivare.
Come ogni Martedì il fabbro veniva a prendere il pane per tutta la settimana. Appena si presentò alla porta il povero fornaio non riuscì a controllarsi e cominciò a sproloquiare come solo la comare sapeva fare. Il fabbro allibito rimase sulla porta, occhi e bocca spalancati, non credendo alle proprie orecchie. Dato che lui e il fornaio erano amici da sempre uscì immediatamente, sapendo che se fosse rimasto un minuto di più sarebbero arrivati alle mani. Anche il fornaio rimase decisamente scosso dalla piega che stavano prendendo gli eventi.
Lasciò il pane fuori dentro delle ceste, anche se era un’azione che faceva a fine giornata lasciando il pane avanzato ai poveri, e chiuse la bottega ore in anticipo dandosi malato.
Piano piano in tutto il paese cominciò a dilagare questa malattia che scioglieva la lingua e faceva dire senza freni ogni pensiero. Mariti che confessavano alle mogli innumerevoli tradimenti e viceversa, guaritori che ammettevano di essere degli incapaci, ogni segreto o pensiero veniva spifferato senza alcun freno. Nel giro di una settimana tutto il paese era in preda al delirio più totale, e nella loro pazzia accusarono il fornaio di tutta questa situazione.
Il poveretto fu costretto a fuggire dalla città e vagò per molto tempo alla ricerca della farina che aveva fatto “sciogliere” la lingua dei suoi vecchi compaesani. Si dice che stia ancora cercando…
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